Autocombustione umana, una macabra leggenda

L’autocombustione umana sarebbe un ipotetico fenomeno causato da una reazione chimica all’interno del nostro corpo, dovuto al troppo calore. Ma cosa c’è di vero?

Da decenni si dibatte molto in merito a questo tema particolarmente «caldo». Ma per addentrarci nei suoi misteri e tentativi di spiegazioni razionali, dobbiamo prima sviscerare questo fenomeno. Partiamo dal significato di questa espressione. Il dizionario lo definisce «fenomeno paranormale», in cui delle persone vive prenderebbero fuoco in maniera improvvisa e spontanea, generando l’autocombustione umana.

Ma è realmente possibile che delle fiamme si propaghino intorno al nostro corpo senza alcun input esterno? Abbiamo raccolto un po’ di testimonianze e alcune leggende. Confrontando queste fonti cercheremo di dare un senso al fenomeno, scoprendone le origini e l’effettiva veridicità.

autocombustione umana

Il fenomeno in se non è surreale. Diversi metalli alcalini composti di grafite e gas, possiedono una qualità particolare, la piroforicità, che permette loro l’autocombustione anche a temperatura ambiente. Il discorso cambia quando parliamo dell’essere umano. Esponiamo alcuni casi più o meno famosi inerenti al fenomeno dell’autocombustione umana.

Autocombustione umana, il caso della contessa Cornelia Bandi

Il primo caso noto è quello della Contessa Cornelia Bandi, di Cesena, nel 1731. Pare che la signore fosse andata a letto normalmente e che la mattina dopo venne trovata dalla cameriera con varie parti del corpo completamente ridotte in cenere. Gli annali ci consegnano questa storia, precisando anche che la signora fosse solita prepararsi un unguento a base di Brandy per poi sdraiarsi vicino al caminetto.

Il neonato indiano

Un altro caso molto controverso venne riportato a gennaio del 2015 dal The News Indian Express, quotidiano indiano. L’articolo spiegava che a Parangini, un villaggio vicino a Tindivanam, un neonato si ustionò il 10% delle piante dei piedi. Durante un’intervista Usha Sadhasivan, primario del centro ustioni del Government Medical College and Hospital, di Mundiyambakkam, disse che la responsabilità di quelle ustioni con tutta probabilità era da imputare alla madre.

Il caso di Mary Reeser

L’ultimo caso che citiamo — veramente inquietante — ci porta a St. Petersburg, in Florida. A metà del secolo scorso, sul pavimento di una tranquilla casetta vittoriana, venne trovato il corpo di Mary Reeser. Della poveretta non rimase altro che qualche osso e un piede tra le ceneri. Questo caso all’inizio lasciò perplessi i reparti investigativi americani, poiché l’incendio sembrava essersi limitato solo alla signora, mantenendo intatto tutto il resto della casa.

Le indagini però chiarirono che la signora Reeser facesse largo uso di sonniferi e fosse anche un’accanita fumatrice. La spiegazione fu che dopo essersi pesantemente addormentata sulla poltrona la sigarette le bruciò la vestaglia da notte e la poltrona. Intontita a causa dell’eccessiva quantità di sonniferi, non ebbe una reazione fulminea e si accasciò a terra priva di sensi. A questo punto il grasso del suo corpo iniziò a bruciare generando un incendio circoscritto.

In conclusione

Il filo d’Arianna che collega questi a molti altri casi presi in esame è il seguente: tutti i corpi analizzati mostrarono ustioni più profonde sulle parti esterne degli organi. Questo aspetto ci porta a dedurre che la combustioni, in tutti i corpi ritrovati, sia avvenuta al di fuori dell’organismo e non dall’interno.

Una spiegazione sembra essere che queste vittime, a causa della loro estrema vicinanza a fonti di calore — esempio un indumento infuocato — avrebbero iniziato a secernere grasso corporeo il quale ad alte temperature diventa infiammabile. Da qui può essere partita questa combustione, lenta, ma letale.

Infatti questi tipi di fuoco non raggiungono temperature molto elevate e talvolta sono privi addirittura di fiamme. Tuttavia continuano a cibarsi del combustibile organico, generato dall’organismo, e bruciando lentamente divorano carni, tessuti e organi.

In conclusione, la convinzione della comunità scientifica è che la teoria dell’autocombustione umana, per quanto suggestiva, non ha alcuna base scientifica e può avere spiegazioni alternative più semplici. «Le fotografie e i resoconti pubblicati finora su presunti casi di autocombustione», conclude Benecke, «possono essere spiegati da meccanismi ben noti che si ritrovano presso il sito dell’incidente. Non c’è alcun bisogno di inventare bizzarre reazioni chimiche o attività paranormali per spiegare ciò che viene erroneamente definito come “autocombustione umana”».

Dal sito Cicap, combustione umana spontanea

Quindi ecco sfatato il mito: un’autocombustione spontanea di un essere umano non è possibile. Occorrono determinate condizioni che favoriscano l’alimentazione del fuoco; sebbene queste leggende macabre e allo stesso tempo affascinanti abbiano anche ispirato scrittori del calibro di Charles Dickens e Jules Verne. Quindi possiamo tranquillamente goderci questi racconti “fiammeggianti” con il cuore sereno. Con le giuste precauzione e distanze da fonti di eccessivo calore, non rischieremo mai di trovarci con un alluce che si trasforma in una torcia.

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