Lutz e Sugihara, gli eroi che salvarono migliaia di ebrei

Oltre a Giorgio Perlasca e Oskar Schindler, nomi giustamente ricordati anche dal cinema, furono tante le persone che salvarono migliaia di persone dalla persecuzione nazista. Pur a rischio della loro vita, Carl Lutz e Chiune Sugihara salvarono circa 67 mila ebrei

«Chi salva una vita, salva il mondo intero».
Questa frase del Talmud ben si presta a descrivere le azioni di due dei molti uomini che salvarono migliaia di persone: Carl Lutz e Chiune Sugihara, diplomatici che durante il tremendo periodo dell’Olocausto salvarono, a rischio della propria vita, decine di migliaia di ebrei da una persecuzione terribile.

Carl Lutz

Carl Lutz ebrei
Carl Lutz

Nato in Svizzera nel 1895, entra nel corpo diplomatico nel 1920. Dopo aver ricoperto vari ruoli negli Stati Uniti e in Palestina, viene nominato viceconsole elvetico a Budapest nel 1942.

L’Ungheria è già entrata in guerra a fianco della Germania e nel 1944 i nazisti occupano il Paese dando inizio alla deportazione degli ebrei ungheresi ad Auschwitz. L’infame progetto dei nazisti verrà consegnato alla storia come «La soluzione finale della questione ebraica».

Il vice console Lutz comprende di dover fare qualcosa rapidamente. Siccome in qualità di inviato per la Svizzera, la quale è neutrale, rappresenta gli interessi dei Paesi che hanno chiuso le loro ambasciate in Ungheria — tra cui Gran Bretagna e Stati Uniti —, Carl Lutz comincia a porre sotto la protezione della Svizzera chiunque sia legato ai Paesi che rappresenta.

Ottomila salvacondotti ebrei richiesti da Carl Lutz

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Una delle lettere di protezione emesse da Carl Lutz

Tuttavia questo sforzo non basta. Lutz da buon vice console riesce a convincere i tedeschi a rilasciare lettere diplomatiche di protezione. A questa richiesta i nazisti emettono ottomila salvacondotti individuali. A questo punto Lutz, fingendo un equivoco, li intesta non a singole persone ma a intere famiglie.

Una volta raggiunto il numero 7.999, ricomincia semplicemente da capo col numero 1, sperando che i nazisti non ci facciano caso. Gli storici stimano che le lettere abbiano salvato fino a 62.000 persone.

Gli sforzi di Lutz sono così audaci e così ampi da non passare inosservati tanto che, nel novembre 1944, il rappresentante tedesco in Ungheria, Edmund Veesenmayer, chiede segretamente a Berlino il permesso di farlo assassinare. Il consenso tuttavia non arriverà mai.

La persecuzione nazista degli ebrei peggiora

Quando i nazisti si rendono conto che la guerra è ormai perduta, le loro operazioni in Ungheria diventano sempre più brutali. Invece di organizzare le deportazioni i tedeschi cominciano a portare intere famiglie ebree sulle rive del Danubio per fucilarle. Oggi sul luogo di queste fucilazioni esiste un’ installazione artistica, opera dello scultore ungherese Gyula Pauer.

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Il memoriale sulle sponde del fiume Danubio

In risposta a questi orrori compiuti contro gli ebrei, Carl Lutz istituisce 76 case sicure, edifici sotto protezione diplomatica: praticamente costituiscono una parte del territorio svizzero all’estero e ospitano a turno migliaia di persone. La più famosa è la cosiddetta Glass House di Budapest, oggi un museo. Per Lutz la guerra è finita e viene richiamato a Berna. Anzichè lodarlo per le sue azioni, la Confederazione lo ammonisce severamente per aver superato la sua autorità, mettendo in pericolo la neutralità della Svizzera.

Soltanto molti anni dopo, nel 1958, Lutz sarà “riabilitato” in termini di reputazione pubblica e i suoi atti verranno onorati. Nel 1965, Lutz è stato il primo cittadino svizzero ad essere inserito nell’elenco dei Giusti tra le Nazioni di Yad Vashem: l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme.

Chiune Sugihara

Chiune Sugihara

Un altro diplomatico che riuscì a salvare migliaia di ebrei dalla persecuzione fu il giapponese Chiune Sugihara. Nato nel 1900, la carriera diplomatica lo porta in varie sedi finché non viene nominato viceconsole a Kaunas, capitale della Lituania.

Quando l’Unione Sovietica occupa la Lituania nel 1940, molti ebrei polacchi e lituani cercano di ottenere visti di uscita verso l’Europa, senza riuscirci. Si rivolgono quindi al consolato giapponese di Kaunas, cercando di ottenere un visto di transito per il Giappone: Paese da cui imbarcarsi poi verso altre destinazioni.

All’epoca il governo giapponese richiede che i visti siano rilasciati solo a coloro che abbiano superato adeguate procedure di immigrazione e dispongano di fondi sufficienti, ma la maggior parte dei rifugiati non soddisfa questi criteri.

Atto di insubordinazione

Sugihara contatta per tre volte il ministero degli Esteri giapponese per risolvere il problema. Ogni volta però riceve la stessa risposta: «Non deve concedere visti a chi non ne abbia già uno per una terza destinazione al di fuori del Giappone».

Chiune Sugihara, con un atto di disobbedienza che va contro ogni tradizione culturale giapponese, decide di ignorare questi ordini. Così dal 18 luglio al 28 agosto 1940 inizia a rilasciare agli ebrei visti validi dieci giorni per il transito attraverso il Giappone. Si rivolge anche a funzionari sovietici i quali accettano di far viaggiare i rifugiati tramite la Ferrovia Transiberiana, ad un prezzo che è cinque volte quello del biglietto standard.

Un lavoro senza sosta quello di Chiune Sugihara

Sugihara continua a scrivere a mano i visti, lavorando dalle 18 alle 20 ore al giorno, fino al 4 settembre, quando è costretto a lasciare il suo incarico per la chiusura del consolato. Secondo i testimoni continua a scrivere visti mentre dal suo hotel si dirige alla stazione e dopo essere salito sul treno, lanciandoli tra la folla di rifugiati disperati. Appena prima di partire si inchina alla folla e dice: «Per favore, perdonatemi. Non posso più scrivere. Vi auguro il meglio».

Uno dei visti rilasciati da Sugihara

Sugihara è riassegnato a Konigsberg (oggi Kaliningrad) e quindi a Praga e Bucarest. Quando le truppe sovietiche entrano in Romania viene chiuso in un campo di prigionia con la famiglia per diciotto mesi e rilasciato nel 1946. Al ritorno in Giappone il ministro degli Esteri giapponese gli chiede di dimettersi ufficialmente a causa di un ridimensionamento, ma molti pensano che il vero motivo del suo licenziamento sia la sua disobbedienza in Lituania la quale portò in salvo circa 5 mila ebrei.

Giusto riconoscimento

Nel 1968, Yehoshua Nishri, un addetto economico dell’ambasciata israeliana a Tokyo, che da adolescente ha potuto salvarsi dalla persecuzione ed emigrare in Giappone grazie a uno dei visti di Sugihara, finalmente lo localizza e lo contatta. Nel 1984 Yad Vashem lo riconosce come “Giusto tra le Nazioni”: unico giapponese ad avere ricevuto questo onore. Solo nel 1985, in un’intervista, gli chiedono le ragioni per il rilascio dei visti agli ebrei e lui risponde:

“Vuole sapere delle mie motivazioni, vero? Bene. È il tipo di sentimenti che chiunque proverebbe quando vede effettivamente i rifugiati faccia a faccia, mendicando con le lacrime agli occhi. Non si può fare a meno di simpatizzare con loro. Tra i rifugiati c’erano anziani e donne. Erano così disperati che sono arrivati al punto di baciarmi le scarpe. Sì, in realtà ho assistito a scene del genere con i miei occhi. Alcuni capi militari giapponesi erano solo spaventati dalle pressioni dei nazisti; mentre altri funzionari del ministero dell’Interno erano semplicemente ambigui.

Mi sentivo sciocco a trattare con loro, quindi ho deciso di non aspettare la loro risposta. Sapevo che qualcuno si sarebbe sicuramente lamentato di me in futuro. Ma lo stesso ho pensato che questa sarebbe stata la cosa giusta da fare. Non c’è niente di male nel salvare la vita di molte persone… con questo spirito mi sono avventurato a fare quello che ho fatto, affrontando questa situazione difficilissima – e per questo, sono andato avanti con raddoppiato coraggio”.

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